
di Max Strata
La narrazione sulla pandemia è da mesi concentrata sull'efficacia dei vaccini e sulla necessità di vaccinare quante più persone possibile. In merito, la cosiddetta comunità scientifica internazionale non sembra però avere una interpretazione univoca. Dall'inizio dell'anno, su The Lancet e su The New England Journal of Medicine, sono stati pubblicati articoli che pongono quesiti e fanno osservazioni su quanto riportato negli studi delle case farmaceutiche. Tra le varie considerazioni ci sono quelle relative al tempo di protezione, sugli studi di fase 3 e sul fatto che la valutazione dell'idoneità dei vaccini non avrebbe preso in considerazione tutti gli indicatori necessari come sicurezza, dispiegabilità, disponibilità e costi. Sull'efficacia di Pfizer in particolare, si è espresso un articolo pubblicato sul British Medical Journal in cui si sostiene che per una stima approssimativa dell'efficacia del vaccino contro lo sviluppo dei sintomi di Covid-19, con o senza un risultato del test PCR positivo e su un insieme più ampio di soggetti che include anche i casi di sospetto Covid-19, la riduzione del rischio relativo sarebbe compresa tra il 19% e il 29% , ovvero molto al di sotto della soglia di efficacia del 50% indispensabile per ottenere l'autorizzazione fissata dalla regolamentazione.
Sul vaccino Pfizer è uscito anche un -discussion paper- dell'Università di Pisa che dal punto di vista statistico ne analizza la misura dell'efficacia spiegando come l'efficacia del 95% riguarderebbe in realtà non la totalità dei vaccinati ma solo quelle persone che hanno una elevata probabilità di infettarsi, ammalarsi e anche di morire. Questo perché gli studi effettuati nella sperimentazione avrebbero privilegiato la percentuale di rischio relativa -RRR quella normalmente utilizzata- ma non quella assoluta ARR, né l’indice V di Cramér (misure diverse), anche se in ambito medico si sostiene che in termini di misurazione dell'impatto di un vaccino su una popolazione, RRR e ARR sono da considerarsi valori complementari e non contraddittori. Secondo questa analisi statistica, tuttavia, il vaccino consente si di evitare la malattia ai soggetti suscettibili di ammalarsi ma non darebbe sufficienti indicazioni riguardo alla sua utilità nel contrastare la malattia nell’intera popolazione dei vaccinati che comprende sia chi è suscettibile di ammalarsi, sia chi non lo è. Su The Lancet, Olliaro, Torreele e Vaillant, hanno inoltre sottolineato che rimane senza risposta la domanda se un vaccino con una data efficacia nella popolazione in studio avrà la stessa efficacia in un'altra popolazione con diversi livelli di rischio di fondo per il COVID-19. Una domanda non banale perché l'intensità di trasmissione varia da Paese a Paese, essendo influenzata da fattori locali quali interventi di sanità pubblica e varianti del virus. Tutto questo per dire che sul tema sembra essere in atto un dibattito tecnico-scientifico che non appare affatto chiuso e che purtroppo appare ignorato dal mainstream.
Fonti per chi vuole approfondire.
https://www.thelancet.com/.../PIIS2666-5247(21.../fulltext
https://www.ec.unipi.it/documents/Ricerca/papers/2021-270.pdf?fbclid=IwAR04VUa_oCzPVVjU30vzMA5ufCFfS5VSUmVtLD-FVTIGnZclEUbRQm0kBcY