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DIRITTO NATURALE



Si può dare ad un fiume, ad una montagna o ad un ghiacciaio lo status di persona giuridica? Si può riconoscere ad una foresta e a tutto ciò che contiene un valore in sé?

Alla domanda se si può stabilire un loro diritto intrinseco ad esistere e a prosperare la risposta è si, basta volerlo.

Garantire diritti e protezione legale a entità non umane nella logica della conservazione dei cicli naturali è una grande scommessa del nostro tempo se si intende affrontare davvero la crisi climatica e la perdita di biodiversità.

Attenzione, non si tratta solo di realizzare riserve e parchi naturali. Le leggi ambientali affrontano i fatti illegali, in questo caso invece si tratta di impedire le attività legali che danneggiano o distruggono gli ambienti naturali, gli ecosistemi, le basi biologiche della vita, non con un'azione giudiziaria ma prima. Una questione molto diversa che comporta un ribaltamento di prospettiva senza precedenti nella storia del diritto e una presa di posizione radicale sotto il piano morale, sociale, politico ed economico.

Si dirà che assumere tale posizione prima che tutti gli stessi esseri umani godano effettivamente del diritto a vivere una vita dignitosa sarebbe un paradosso. Perché sancire il diritto alla vita di un lago o all'affettività di un'animale quando una moltitudine di persone ancora non ha accesso all'acqua, non ha cure sanitarie, non ha diritto di parola o è schiacciata dalla disoccupazione, dal precariato e dai debiti?

La risposta è che ogni passo fatto in direzione del riconoscimento della tutela della vita in generale costituisce un'evoluzione anche per la specie umana nel suo complesso, sia sotto un profilo culturale, sia sotto un profilo pratico. Non bisogna dimenticare che il concetto di sfruttamento della natura e dei propri simili è prima di tutto un fatto culturale, "una visione del mondo", insito nella struttura gerarchica dell'apparato economico dominante: tanto nel modello di sviluppo puramente capitalista quanto in quello comunistico-capitalista di tipo cinese.

Non c'è dunque paradosso ne contraddittorietà nell'affermare che il riconoscimento di un diritto alla protezione e alla conservazione degli oggetti di natura è ispo facto un più generale diritto di tutela di tutte le specie viventi, compresa la nostra.

Mentre è in corso una campagna per rendere l'ecocidio un reato perseguibile presso il tribunale penale internazionale, alcuni Paesi si sono già mossi nella direzione auspicata e tra questi l'hanno fatto l'Equador, la Bolivia e il Bangladesh, nazioni non certo ricche ma che proprio di fronte allo spietato avanzare di una globalizzazione sempre più distruttiva, hanno sentito la necessità di sancire nella carta costituzionale o nel corpus delle loro leggi fondamentali, il diritto alla tutela del mondo naturale.

Qualcuno ha rilevato che ciò è stato possibile anche grazie al fondo animistico e alla forte spiritualità che ancora è presente in quei luoghi e che antepone la concezione dell'umano integrato nell'insieme naturale alla visione meccanicistica in cui la natura è puro oggetto da sacrificare sull'altare del progresso materiale. E' possibile, e comunque ciò fa riflettere sul perché il diritto europeo sia ancora così arretrato da questo punto di vista.

Finché non abbandoneremo l'idea antropocentrica di dominio e di supremazia, l'illusione di una presunta superiorità di specie quanto di casta, di appartenenza, di classe rispetto ad altri singoli o ad interi gruppi sociali, la violenza delle idee darà sempre luogo alla violenza dei fatti, perpetrando l'esclusione e la devastazione ambientale. Il darwinismo sociale che oggi è alla base delle nostre istituzioni competitive ed escludenti, non è la regola delle comunità umane e non ha niente a che fare con la teoria dello scienziato britannico di cui ha stravolto il significato e le conseguenze logiche. Alla radice, la questione dei diritti della natura riguarda una grande revisione storica e concettuale, considerato che la distruzione dei beni ambientali si è moltiplicata con la concentrazione della ricchezza e del potere in poche mani e sulla base dei diritti di proprietà che si fondano su un sistema di esclusione.

Il diritto naturale, non tanto e non solo per la sua antichissima storia di corrente del pensiero filosofico occidentale, qui ci interessa come l'elaborazione di un concetto essenziale, quello dell'unica sostanza ovvero quello del non dualismo tra umano e natura come esemplificato in tanta parte del pensiero orientale e in qualche modo racchiuso nell'espressione Deus sive natura (Dio ovvero la natura) di Baruch Spinoza.

Viste le enormi criticità attuali e le ancor più nere prospettive per il futuro, l'idea di riconoscere l'intangibilità per diritto ad un fiume, ad un animale o ad una roccia, accettare la sua posizione non subordinata rispetto a noi, può rappresentare un grande passo avanti nell'idea che non esiste un mondo separato dal nostro, che non contiamo in quanto singoli, né come soggetti economici, ma che noi siamo (e potremo essere) solo in relazione a quanto ci stà intorno, sulla base di un etica non distruttiva.


















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