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Giustizia, clima e salute globale.


di Linda Maggiori


Andrò a Roma, per protestare contro i paesi del G20, detentori dell'80% del PIL globale, e responsabili del 75% delle emissioni climalteranti, nonché i principali finanziatori di progetti legati a petrolio, gas e carbone.

Il mito della crescita economica infinita, tanto caro al G20, (magari con una verniciatina di verde), si sostiene solo con la depredazione di risorse naturali (estrattivismo), maggiori emissioni di CO2, programmi neoliberisti e una insopportabile ingiustizia tra paesi poveri e ricchi.

Dobbiamo renderci conto che equità, democrazia e lotta al cambiamento climatico devono andare di pari passo. Ora più che mai.

Lo stesso summit G20 non ha alcuna legittimazione democratica. Tra 188 Paesi nel mondo, perché solo 20 dovrebbero arrogarsi il diritto di prendere decisioni per tutti?

Greenpeace UK ha recentemente svelato che alcuni Paesi facenti parti del G20 (Brasile, Argentina, Australia, Giappone, Stati Uniti), e grandi estrattori di petrolio, carbone, gas e...produttori di carne, stanno cercando di annacquare il prossimo rapporto IPCC. Si oppongono alle richieste di cessazione di estrazione delle fonti fossili, alla necessaria "dieta verde" e spingono per un'apertura sul nucleare. (https://ilmanifesto.it/una-lobby-di-paesi-inquinatori-per-annacquare-la-cop26/)

Il 2021 Production Gap Report diffuso dall'Unep il 20 ottobre, evidenzia come i governi stiano pianificando di produrre entro il 2030 una quantità di combustibili fossili decisamente maggiore rispetto a quanto sarebbe coerente con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5%.

Anche l'Italia sta pianificando di aumentare la produzione di gas addirittura fino al 2040. (https://productiongap.org/2021report/)

La narrazione che si sta affermando lascia grande spazio al potere salvifico della tecnologia e alla competenza dei tecnocrati. Dalla cattura e stoccaggio della CO2, al nucleare come fonte di energia pulita, alle auto elettriche come soluzione all'inquinamento. Queste ultime in parte risolvono l'inquinamento dell'aria, e sono sicuramente da preferire alle auto a benzina o a metano, ma bisogna avere il coraggio di dire che il mito dell'auto privata, non è più sostenibile.

Il primo fondamentale passo, più che la tecnologia, è la riduzione. Altrimenti ridurremmo le emissioni ma al contempo aumenteremo l'estrattivismo (necessario per batterie, accumulatori).

Ridurre le auto a famiglia, ridurre la carne che mangiamo, ridurre i vestiti che compriamo e gettiamo. Mettere in crisi le multinazionali che saccheggiano e devastano il nostro territorio, incentivare un sistema economico locale, sostenibile. Non basta l'economia circolare, occorre ridurre, insomma, il diametro del cerchio. L'equità tra i popoli e l'equilibrio ambientale non si raggiungerà se i paesi più ricchi del mondo manterranno i loro privilegi e la loro impattante impronta ecologica. D'altra parte far raggiungere a tutti gli abitanti del mondo lo stile di vita occidentale (inquinante e consumista) è un obiettivo insostenibile.

Basta fare un rapido calcolo: l'impronta carbonica media globale è attualmente di 4 tonnellate di CO2, con i paesi ricchi che alzano la media (Italia, Francia Regno Unito 7 tonnellate CO2 pro capite, Germania 9, USA 16) e i paesi poveri che sono sotto il livello di sopravvivenza (Bangladesh 0,29 ton.CO2 annue pro capite). (www.carbonfootprint.com)

Per contrastare il cambiamento climatico, ci dicono gli scienziati, con una popolazione che si stabilizzerà sui 10 miliardi al 2050, occorre che tutti riducano la loro impronta carbonica a un equilibrio di 2 tonnellate CO2 pro capite.

Per alcuni vuol dire aumentare il proprio livello di sussistenza per altri vuol dire fare a meno di tante comodità ed oggetti che ora ci sembrano fondamentali, a causa di decenni di bombardamento mediatico e consumista.

Da decenni i paesi del G20 ignorano gli effetti del collasso climatico perché questi colpiscono principalmente i Paesi più poveri, fragili e depredati. Ma l'onda sta arrivando anche da noi. Lo abbiamo visto le terribili inondazioni in Germania questa estate, i morti di caldo in Canada, incendi ovunque, e ora il primo uragano mediterraneo.

Si susseguono inondazioni, alluvioni, caldo mortale, siccità, invasioni di specie aliene, devastazioni di raccolti, perdita di biodiversità... E pandemie.

Nonostante l'origine del virus Sars-Cov-2 non sia ancora chiara (almeno quattro sono le ipotesi), l'impatto devastante della specie homo sapiens sull'ambiente è innegabile: deforestazione e commercio sconsiderato di viventi, allevamenti intensivi, in questi ultimi decenni hanno scatenato zoonosi devastanti (già nei decenni passati) e lo faranno sempre di più. Vogliamo davvero rincorrere mille zoonosi o modificare il nostro stile di vita e modello di sviluppo?

Il rapporto Ipbes su Biodiversità e pandemia, nell'ottobre 2020 ci metteva in guardia su un approccio tecnocrate per uscire dall'era delle pandemie: "Le attuali strategie sanitarie concentrate solo a controllare le pandemie dopo la loro comparsa, sperando poi in vaccini e terapie, non sono un modo realistico per evitare l'era delle pandemie". Lo stesso rapporto precisava che più che di pandemia, si dovrebbe infatti parlare di sindemia: è "l'interazione della malattia da coronavirus con l'aumento continuo delle malattie croniche e dei loro fattori di rischio, tra cui obesità, iperglicemia, inquinamento atmosferico." Affidarsi solo solo ai vaccini (a profusione nei paesi più ricchi, scarsi nei Paesi poveri) e a sistemi di controllo sempre più repressivi (green pass), non è sicuramente la cosa più saggia da fare. Scatenerà rivolte, disagio sociale, problemi psicologici e gravi conflitti che a loro volta innescheranno una spirale di repressione e controllo che nessuno sa dove ci porterà.

Ci attendono anni di crisi (economica, sanitaria, climatica) e la democrazia è seriamente a rischio.

Resta inoltre il sistema ingiusto dei brevetti che limita la diffusione dei vaccini nei paesi più poveri, arricchendo la Big Pharma (alla faccia della salute).

Anche se, sarebbe importante fare una riflessione critica e meno dogmatica sull'equità dello slogan "Vaccini per tutti in tutto il mondo". A questo riguardo consiglio di leggere lo splendido libro "Covid e le saggezze nascoste" di Marinella Correggia, reporter ed ecopacifista di lunga data, che racconta le cure, le strategie, (in epoca pre-vaccini) portate avanti dai paesi poveri, nel 2020, che con pochi mezzi e poche risorse sono riusciti a evitare l'ecatombe: gli "operatori della salute", visitavano le persone, villaggio dopo villaggio, porta a porta, usando farmaci poco costosi e molto diffusi (senza brevetti) già in uso dai medici del posto oppure derivati dalla medicina locale. Giustissima la battaglia contro i brevetti dei vaccini, che in una pandemia non hanno alcun senso di esistere, se non per arricchire la Big Pharma, ma ricordiamoci che non tutte le zone del mondo e non tutte le fasce di età sono ugualmente colpite dalla malattia grave Covid-19, e non tutti sono a rischio effettivo. Uno sguardo più critico e scevro da pregiudizi ci porterebbe a preferire una vaccinazione mirata, per fasce a rischio in tutto il mondo. La vaccinazione massiccia laddove il Covid non imperversa, e su tutte le fasce di età, potrebbe essere controproducente.

Anche se i vaccini vengono regalati ai paesi poveri - bello sforzo, sono le eccedenze prossime a scadenza-, la spesa e il carico organizzativo della somministrazione sono a carico del Paese che le riceve e potrebbe distogliere energie, operatori e risorse economiche da problemi e malattie più gravi per quel territorio (malnutrizione, malaria, altri tipi di polmonite), inoltre potrebbe essere una buona scusa per i paesi ricchi per dire "ehi, vi regaliamo questi vaccini ora però non chiedeteci altri aiuti e non chiedeteci il condono del debito". Quando invece sono loro i creditori, da decenni li stiamo saccheggiando e siamo noi a dover restituire il maltolto.

E' questa la giustizia e la salute globale che vogliamo?


Linda Maggiori vive a Faenza con la sua famiglia, Laureata in Scienze dell'Educazione e Servizio Sociale. Ha scritto vari libri su ecologia e stili di vita sostenibili, sia per adulti, sia per bambini, racconta e sperimenta un approccio di "decrescita felice". L'ultimo libro è "Questione di Futuro, guida per famiglie eco-logiche" (San Paolo Edizioni). Collabora con numerose riviste e quotidiani che si occupano di ambiente e sostenibilità. Attiva nelle associazioni locali e nazionali per la mobilità sostenibile e per la giustizia climatica ed ambientale.

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