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Il viaggio: ecofilia sulle strade della Toscana.



Di Francesca Volpe


Forse mai come in questo periodo stiamo riscoprendo il valore della prossimità. All’impedimento – prima – e alla restrizione – poi – della prossimità sociale abbiamo fatto fronte con il potenziamento della prossimità con noi stessi e con i nostri luoghi.

Ci siamo guardati dentro, scandagliati, ascoltati. Abbiamo esplorato ogni più recondito anfratto del nostro essere, della nostra casa e, quando possibile, del territorio circostante. Seppur in una situazione diversa, la prossimità ha caratterizzato anche i 3000 Km di incontri e scoperte che ho percorso sui sentieri meno battuti del territorio a me più vicino, quello nel quale vivo, la Toscana. Un viaggio di due mesi a bordo della Renault 4 appartenuta al mio nonno sulle strade secondarie della Toscana, alla ricerca di piccole realtà eco-sensibili e di luoghi fuori dai percorsi convenzionali.

Era una notte di autunno quando “l’idea di questo viaggio è entrata nella mia testa senza chiedere il permesso – perché le idee più autentiche ti arrivano, ti si offrono in dono al momento giusto”. Come biografie illustri nel corso dei secoli insegnano, spesso dopo importanti cambiamenti di direzione o per corroborare nuove scelte di vita, affidiamo a un viaggio la catarsi della nostra anima. Non ha rappresentato un’eccezione la mia chiamata alla partenza, giunta dopo aver lasciato un lavoro, prestigioso seppur precario, di ricerca all’università, nel quale anni di entusiasmo e passione avevano lasciato il posto a delusione e malessere.

“Siamo stati inzuppati fin da piccoli come cantucci nel vinsanto nell’idea che sia fisiologico passare la maggior parte del tempo – che poi, non ce ne fossimo accorti, è la nostra stessa vita – a lavorare sodo, poco importa se ti piace o meno quello che fai, per guadagnare del denaro che ti servirà per comprare le briciole di tempo libero che sono sfuggite al vinsanto. Per fortuna se l’ubriacatura non è così forte da ucciderti, attraversando un bel mal di testa, la si può superare”.

Contravvenendo al codice della strada, l’ubriacatura io l’ho superata guidando, sfrecciando lenta a bordo della Renault 4 alla riconquista della libertà. Seguendo il ritmo di un viaggio lento e assecondando il richiamo di deviazioni estemporanee, ci si riappropria della libertà di autodeterminazione nella gestione del proprio tempo. E quando ci si sfila un cappotto diventato troppo stretto, accettando il rischio di soffrire un po’ di freddo, lentamente si torna a respirare con profondità e a ricevere come una grazia il necessario calore.


Era il 4 ottobre, giorno in cui si celebra la memoria dell’antesignano ecologista San Francesco, quando mi sono simbolicamente spogliata e sono partita senza avere una data di ritorno e una mappa prestabilita, con “l’ecofilia, un sentire amorevole per la “grande casa comune”, a farmi da guida sui sentieri che conducono a realtà ed esperienze ecologicamente orientate”. Ed è così che la bellezza vista e ascoltata in questo viaggio di prossimità mi ha travolto. “Ho conosciuto donne e uomini coraggiosi, impegnati a salvare l’insegnamento della tradizione contaminandolo con la parte migliore della modernità. Ho scambiato pensieri sulle gioie, le soddisfazioni e le fatiche di una vita strettamente connessa con la terra, in un rapporto di fedeltà quotidiana che trascende il mito bucolico. Ho assaporato il profondo benessere di trascorrere del tempo in strutture realizzate in bioedilizia. Sono stata incantata dallo splendore di minuscoli paesi che si susseguono abbaglianti come perle di una collana da rinfilare. Ho visitato eremi senza più eremiti e monasteri con monaci illuminanti che coltivano secondo il metodo biologico. Sono stata ammaliata dalla bellezza dolente di borghi abbandonati e assalita dal tarlo dell’escogitare soluzioni all’inesorabile rovina di tanti patrimoni. Sono stata accolta da persone che mi hanno aperto la porta di casa senza conoscermi. Ho avvertito l’insicurezza di trovarmi da sola, donna, in alcuni luoghi deserti e, in altri, ho sperimentato la soddisfazione dell’alchimista nel trasformare quella stessa sensazione in appagante tranquillità.

Sono stata spettatrice del mutare del caleidoscopio della natura con il passare dei giorni nell’inizio dell’autunno. Ho affinato, chilometro dopo chilometro, l’intesa con la mia compagna di avventura a quattro ruote”. E, soprattutto, nelle esperienze di vita delle persone incontrate si è mostrata “la possibilità e fattibilità – impegnativa ma appagante – di una vita diversa da quella omologata, proposta-imposta come unico modello possibile. Una finestra su quella “rete di singoli e di gruppi che opera per il meglio [che] esiste, resiste ed esce fuori” (Max Strata, Il cambiamento). Perché di realtà virtuose, dedicate a costruire alternative leggere sull’ambiente, ce ne sono più di quante siamo portati a immaginare.

Il libro che ho scritto al termine del viaggio si propone di dare voce a queste esperienze, nella speranza che siano di ispirazione per chi sente il richiamo dell’ecofilia e sta cercando lo stimolo per manifestarlo. È altresì un “piccolo tributo al grande lavoro che tutte le persone incontrate, ognuna a suo modo, stanno compiendo. Perché quello che stanno facendo non è semplicemente “lavorare in campagna”, è prendersi cura della terra e delle sue creature, curarne le ferite causate dall’industrializzazione selvaggia, dall’agricoltura convenzionale, dagli allevamenti intensivi e dall’alienazione umana, restituendo fecondità. Non è soltanto “fare il proprio interesse personale”, è sfidare – da piccole realtà – le pastoie della burocrazia pensata per le grandi attività, affrontare le difficoltà economiche, contrastare tanto l’erosione dei suoli quanto quella dell’etica per contribuire al bene di tutti. È creare delle isole salubri con terra fertile, cibo sano, relazioni autentiche, braccia stanche e cuori pacificati delle quali beneficia – consapevolmente o inconsapevolmente – l’intera comunità dei viventi. E se queste isole luminose ancora fluttuano tra chiazze di grigiore, ogni volta che ne sorge una nuova i loro confini fisici si avvicinano, le loro anime si toccano e l’ordito dell’ecofilia si fa più saldo e più bello”.

Le parti in corsivo sono tratte da Francesca Volpe, “La Toscana in Renault 4. Viaggio sui sentieri dell’ecofilia e della libertà”, Infinito Edizioni, 2020.

Francesca Volpe: nata a Firenze (1981), cresce selvatica tra campagna e città. Si laurea in giurisprudenza e si specializza in diritto dell’ambiente con un dottorato e diversi anni di attività accademica. Credendo nella validità dell’affermazione “sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”, attua nell’agriturismo di famiglia le buone pratiche di sostenibilità sulle quali svolge la sua attività di ricerca. È autrice di articoli su temi ambientali e su stili di vita improntati alla riduzione degli sprechi.

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