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La piccola scala


di Max Strata


E se fosse la piccola scala a salvarci? Una via d'uscita dalla violenza della globalizzazione commerciale e intellettuale, dal mercato sopra ogni cosa, dalla precarietà, dallo sfruttamento del lavoro e dalla devastazione ambientale. Una via locale e più semplice che opera nelle comunità e per le comunità, virtuosa e solidale. Non è una novità. L'aveva ben descritta Ernst Schumacher nel suo straordinario "Small is beautiful" (1973). Ne ha lodato i benefici Serge Latouche, spiegando in dettaglio l'impossibilità fisica di una crescita economica continua e la necessità di ridurre la produzione redistribuendo la ricchezza. Ci sono poi le esperienze di successo ispirate dalle "città di transizione" immaginate da Rob Hopkins. Ma una simile prospettiva era già stata perfettamente individuata da M.K. Gandhi che per la sua visione di un India liberata dal giogo imperialista, aveva preso a riferimento le migliaia di paesi e cittadine che da secoli vivevano utilizzando in modo coscienzioso le risorse naturali del luogo. Dunque: che cosa si può fare per promuovere e realizzare un mondo su piccola scala ? Sostituire il pensiero dominante, in primo luogo, il che presuppone di mettere in discussione noi stessi e le nostre abitudini prima ancora che tutto il resto. Tuttavia è intuitivo che non dipendere dall'esterno (o almeno non completamente) per la fornitura di beni e servizi essenziali, è un formidabile strumento di autonomia e di stabilità. E' palese che non essere soggetti (o esserlo il meno possibile) alle ondivage criticità dei mercati e di chi li gestisce, è garanzia di una prosperità altrimenti improbabile. Sia chiaro: la vita su piccola scala non è quella della pubblicità né quella dei desideri indotti. E' un luogo fisico -e un approccio mentale- in cui il modello di riferimento non è il megastore ma un circuito a bassa intensità, in cui la produzione e il lavoro sul posto costituiscono una rete strutturata, resiliente, finalizzata a ciò che è effettivamente utile e non al superfluo. E' una impostazione che non cede al verticismo, alla falsità per cui l'economia si fa soltanto con il debito e che sta in piedi solo se si consuma senza freni. Il bioregionalismo spiega molto bene la dimensione delle entità di questo tipo, la loro funzionalità e la realtà di questa opzione che del resto, in altre condizioni, è stata praticata per lungo tempo prima dell'avvento dei processi di accumulo e concentrazione del potere finanziario e politico. No, niente paura, non si tratta di un ritorno a modelli premoderni. La piccola scala non è ingenua, non si fonda sull'isolazionismo e di certo non rifiuta il supporto della tecnologia e della interattività, quando queste sono utili alla comunità. La piccola scala ha però molto chiaro il concetto di limite, opera il riuso, la conservazione della materia e dell'energia, predilige l'essenziale, punta dritto al soddisfacimento delle necessità di base, alla socialità, alla condivisione, nutrendo le migliori qualità umane invece che l'egoismo e l'indifferenza. No, non è una idealizzazione per pochi sognatori ma qualcosa di molto concreto e tangibile che attraverso una agricoltura naturale di prossimità, l'uso di fonti energetiche rinnovabili, la salvaguardia delle risorse idriche e del patrimonio naturale, l'artigianato, il commercio locale e molto altro ancora, può rimettere in gioco il nostro futuro puntando ad una migliore qualità della vita. Sul piano concettuale è non antropocentrica e non sviluppista ma contempla l'interdipendenza tra i viventi, la necessità di promuovere l'equilibrio e l'armonia. E' un processo intimamente diverso da quello che si è affermato: è graduale, articolato e tuttavia molto meno complesso di quanto si immagini ma che è fattibile solo con la consapevolezza e l'impegno di un certo numero di persone. Se pensate che l'esistenza non sia fatta solo di oggetti, del possesso di qualcosa e di relazioni poco autentiche ma che invece sia degna di essere vissuta con altri presupposti e con la giusta intensità, probabilmente la piccola scala fa per voi.

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