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Notte d'Africa



di Alex Balloni


Nel 2006 io, mia moglie e mio figlio di appena tredici mesi eravamo in Africa sulla costa Swahili, in Kenya, alloggiati in un bungalow sopra un promontorio sul mare.

Ci fu un episodio che ricordo e che, negli anni successivi, ha determinato in noi un profondo cambiamento sull'utilizzo della luce artificiale. Fu determinato da un guasto al motore di un taxi che dopo il tramonto ci stava trasportando da un bellissimo parco naturale ricco di farfalle e di mantidi religiose, in direzione del nostro pittoresco e folkloristico bungalow sulla scogliera della meravigliosa baia di Watamu.

La strada proveniente da Malindi in direzione Mombasa è una strada costiera disastrata, dal manto stradale modificato, piena di buche e deviazioni. Il paesaggio è quello tipico africano, vegetazione bassa e rigogliosa con qualche albero maestoso dislocato qua e là e con con palmeti ad alto fusto man mano che ci si avvicina alla spiaggia. La velocità difficilmente può superare i 40 km/h e di conseguenza con i nostri canoni di calcolo all'occidentale, le distanze sembrano diverse e i tempi di percorrenza decisamente più lunghi. Era sera e il guasto ci costrinse ad entrare dentro un villaggio per cercare qualcuno che riparasse l'auto. Come in tutti i luoghi africani, il calare della notte incute uno stato di inquietudine, perché rispetto ai nostri standard in Africa regna il buio profondo.

Raggiungemmo un meccanico che lavorava dentro una capanna: lui prese una lampadina, osservò il motore e decise di aiutarci. Durante il suo intervento cominciarono ad assembrarsi dei curiosi ciascuno dei quali dava dei consigli sulla riparazione o portava qualche attrezzo utile. Nel nostro modo di vivere, una simile scena sostanzialmente avvenuta al buio se non fosse stato per la piccola luce utilizzata dal meccanico, sarebbe impensabile. L'uomo addirittura rifiutò il supporto di una mia torcia elettrica, sostenendo che ci vedeva benissimo. Gli africani sono abituati al buio della notte e vi si muovono tranquillamente. Ben presto, ci accorgemmo che ogni minuto che passava anche noi ci stavamo abituando a quella nuova situazione e che la nostra vista si stava acuendo.

Questa esperienza ha cambiato il nostro approccio alla notte e da allora avvertiamo di subire una piccola violenza quando siamo sottoposti all'eccesso di luce delle nostre città. Abbiamo potuto verificare che in realtà le nostre capacità di adattamento vengono spesso neutralizzate dagli strumenti artificiali, che tendono a rendere il superfluo e l'eccesso come necessario, come se l'oscurità fosse immediatamente collegabile al pericolo e alla paura. Qualcuno mi ha raccontato che il fenomeno della iper-illuminazione, che tra l'altro incide molto sul consumo energetico, nacque durante la rivoluzione industriale e serviva ad allungare gli orari di lavoro delle fabbriche e questo fa riflettere sul rapporto che esiste tra l'uso intensivo della luce artificiale e l'assillo della produttività.



Ad anni di distanza, è singolare e divertente notare l'espressione di chi entra a casa nostra di sera e trova luci soffuse o candele. Di notte, non occorrono gli occhiali da sole per stare in casa, per uscire o frequentare luoghi pubblici: non è necessario l'eccesso di luce. Se questa consapevolezza si diffondesse tra gli esseri umani forse torneremo ad un rapporto più equilibrato con la notte e daremmo una mano nel mitigare la crisi ambientale del pianeta .



Alex Balloni è un "viaggiatore seriale".

Da trent'anni, con i suoi scatti raccoglie il giro per il mondo l'essenza dei luoghi e delle persone traendone singolari racconti per immagini e parole


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