
Di Max Strata
Tra i fatti nazionali avvenuti in questi giorni, oltre al voto con cui il senato ha affossato il disegno di legge Zan, ce ne sono altri due che mi hanno particolarmente colpito.
Il primo riguarda la violenza con cui i mastini della commissione di vigilanza RAI si sono lanciati su Sigfrido Ranucci, il conduttore di Report, dopo la trasmissione di lunedì primo novembre, in cui la testata di giornalismo investigativo si è permessa di indagare alcune significative criticità della campagna vaccinale italiana e mondiale. I toni dell'assalto sono stati furibondi, senza peraltro considerare che Report sostiene da sempre l'importanza nell'uso dei vaccini.
Il secondo concerne la cacciata da Roma con foglio di via per un anno, di Stefano Puzzer, uno dei leader (gradito o sgradito che sia), della protesta contro il GP, dopo che il portuale aveva simbolicamente sistemato un tavolo e delle sedie in piazza del Popolo, in attesa di una risposta del governo sulle richieste inoltrate al ministro Patuanelli.
Questi due casi evidenziano una caratteristica comune: la sproporzione della reazione istituzionale rispetto alle modalità utilizzate e ai contenuti (seppur diversi) che i due individui hanno cercato di veicolare. Ciò che accomuna il livore politico e il foglio di via della Questura, è infatti l'intento, sempre più evidente e marcato, di ridurre al minimo possibile gli spazi e le opportunità di critica nei confronti del governo. E' chiaro, al di là della questione virus, che la portata di ciò che sta accadendo ha una dimensione ben più ampia di quanto appare, poiché finalizzata a coprire le scelte in campo sociale, economico e ambientale di un governo tanto forte nei numeri, quanto debole nell'esercizio della democrazia.
L'establishment, che con l'ingresso di Draghi ha usato i media come degli arieti e ha definitivamente eluso ogni parvenza di controllo incrociato tra poteri dello Stato, ora non ha più alcun freno inibitore nell'usare la mano pesante con i divergenti.
Come è stato rilevato da più parti, la contingenza -ovvero la pandemia-, ha offerto un trampolino di lancio del tutto speciale per l'adozione di pratiche autoritarie che in altre condizioni sarebbe stato meno facile imporre.
Ma questa strategia, resa possibile dal timore della malattia e dalla divisione che ormai opera fin dentro il cuore della comunità e delle famiglie, si rivela tanto efficace anche perché può contare su una sorta di annichilimento delle coscienze che è stato perseguito per decenni e che ora dà i suoi frutti. Tutti noi, in un modo o nell'altro, ne siamo stati vittime, tanto che adesso risulta complesso riconoscere la gravità della situazione in cui ci troviamo. Nell'assordante silenzio del pensiero critico, il tentativo di comprimere alcuni diritti fondamentali e di isolare la nostra individualità in modo funzionale agli interessi di pochi facendoci credere che questi fanno il nostro bene, sta andando in porto. La questione è di rilievo perché qui si pone il tema del prevalere della sudditanza in luogo di una cittadinanza attiva, dove chi si espone per esprimere una diversità, viene sottoposto a misure di polizia e/o alla gogna mediatica.
Ormai abbiamo a che fare con una metapolitica, con qualcosa che legittima se stessa senza alcuna necessità di confronto con i cittadini, ovvero con un manipolo di autocrati che cerca di definire una nuova realtà: quella in cui il concetto di subalternità diventa un dogma e la partecipazione alla vita democratica una pretesa non più di moda e di cui non si sente più il bisogno.
Sapere aude scriveva Orazio, ma il coraggio di conoscere e di mettere in discussione ciò che ci viene indicato come verità, sembra ormai un antico motto effettivamente caduto in disuso.