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Un anno sospeso.


di Francesca Bazzichi


A pochi giorni dall’anniversario del primo lockdown mi sono trovata a riflettere assieme ad una cara amica di quanto questo tempo rubato ci abbia lasciato addosso.

Sì, rubato…perché credo che la sensazione piuttosto generalizzata sia questa: ci (qualcuno/qualcosa) hanno rubato un anno di vita.

In questo tempo sospeso, che tuttora permane e di cui credo nessuno possa darci un termine, le nostre vite così come le conoscevamo, così come le progettavamo, così come le immaginavamo e/o sognavamo sono state prese, avvolte dentro una nube e sollevate…sono state separate dai binari che stavano percorrendo.


In questo anno sospeso abbiamo perso, a mio vedere, tutte le cose che rendono la vita degna di essere vissuta: le relazioni, l’affettività, la socialità, la possibilità di uscire per godere di una giornata immersi nella natura, gli abbracci, il tocco, la possibilità di accompagnare i nostri morti in un saluto che potesse creare una cornice al lutto, di celebrare la vita comunque arrivata (penso alle nascite, al fatto che i parenti non abbiano potuto riunirsi ad accogliere le nuove creature), la compassione verso l’altro, le parole intime che solo un’amicizia conosce, il poter semplicemente andare in un luogo diverso, visitare un museo, ascoltare un concerto, andare per mostre, la condivisione di una tavola.

Ciò che non si è fermato è la possibilità di lavorare (e anche qui, solo per chi ha avuto questa fortuna), i doveri dei cittadini, le tasse, gli affitti, le industrie belliche, la compromissione del nostro ecosistema, le industrie degli allevamenti intensivi.


Un anno sospeso che ha messo in luce ciò che è stato dichiarato come fondamentale e ciò che invece non lo è, sempre secondo un sistema dominante volto al profitto, allo sfruttamento, alla crescita infinita.


Ad un anno dall’inizio del tutto credo che sia importante che tra persone ci si racconti questo senso di sospensione, credo che sia importante condividere il nostro spaesamento, il nostro senso di precarietà, le nostre paure, le nostre angosce.

Non perché “mal comune è mezzo gaudio”, ma perché è fondamentale non sentirsi soli e stringerci con umanità e pìetas assieme e assieme alle nostre ferite.


Credo che nessuno sia rimasto indenne, credo anche che ci trascineremo per molto tempo le conseguenze di ciò che è accaduto, e questa situazione di semi-possibilità che viviamo oggi nulla toglie ai segni profondi che portiamo con noi.


Abbiamo bisogno di essere riparati, di ripararci e il permetterci di sussurrare ad un altro essere umano “siamo rotti” è il primo passo.

Condividere ciò che sentiamo esserci stato portato via, far vedere “i cocci” è il punto da cui partire per riparare.


“Andrà tutto bene” ci dicevamo, ma non è stato così e non potrà essere così fintanto che non cominceremo una ricostruzione (prima di tutto interiore) che si allontani da ciò che ha portato a questa situazione, che si discosti da questo “progredire” scellerato, da tutto ciò che ci considera consumatori anziché esseri umani dentro un ecosistema molto più vasto di noi.


Abbiamo bisogno di essere riparati e di ripararci e abbiamo bisogno di tornare ad essere artigiani di questo processo di riparazione.

Abbiamo bisogno di recuperare il senso del sacro e della sacralità e, di solito, questo non lo si trova in qualcosa che fa crescere il PIL, anzi…il PIL, citando Robert Kennedy, misura tutto tranne ciò che rende la vita degna di essere vissuta.

Abbiamo bisogno di ricordarlo, mentre ci ripariamo, perché non accada più che ci venga rubato ciò che dà il senso autentico al nostro breve passaggio in questo mondo.




Francesca Bazzichi, counselor e formatrice, da sempre legata alle tematiche ambientali, crede profondamente che nel recupero dell’armonia nel rapporto uomo/natura stiano il senso profondo e l’opportunità di questo nostro tempo.


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