
di Francesca Bazzichi
Quando ho cominciato a portare la mia lezione di “Ecologia Interiore” nei corsi di
formazione in counseling, mi sono immaginata che diverse persone potessero chiedersi
quale fosse il nesso/legame dell’Ecologia con la nostra Interiorità…
Questo legame è, a mio parere, fortissimo e per tentare di renderlo tangibile a livello
razionale ho provato a farlo diventare “immagine”.
Comincerei proprio partendo dall’etimologia della parola Ecologia: dal greco “oikos”
significa “casa”…
Parlare di Ecologia significa parlare della nostra casa.
Provando ad allargare il concetto di “casa nostra”, dalla concezione della casa fatta di
muri, possiamo arrivare, con poco sforzo, a vedere come casa il Pianeta che ci ospita: la
casa non si limita al confine delle nostre mura, o il nostro giardino, o la nostra strada o il
nostro quartiere…
Ovunque noi possiamo stare, ovunque andiamo è casa… ed è casa anche dove non
riusciamo fisicamente ad arrivare, perché anche tutto “quello là” ci riguarda.
Ci riguarda perché se noi siamo dove siamo in questo momento e abbiamo la possibilità di
respirare, muoverci, parlare, mangiare, vivere, è perché l’ecosistema della Terra, così
come è fatto, così come funziona, ha posto le condizioni per il nostro presente: è una
questione di “evoluzione” e concatenazione di eventi… noi siamo qui, in questo momento,
perché le cascate dall’altra parte del mondo sono state e sono esattamente come sono, i
mari (tutti) sono stati e sono come sono, le montagne, i venti, le piogge, ogni singolo
albero, animale, minerale sono stati e sono esattamente come sono e vivono secondo un
perfetto equilibrio dinamico da milioni di anni.
Noi siamo qui perché la Natura, Madre Natura, ce lo ha permesso.
In questo senso, ovunque su questa Terra, è casa nostra.
È casa nostra perché siamo parte inscindibile di questo sistema al quale siamo
profondamente interconnessi e del quale siamo interdipendenti, nonostante ci si ostini a
non riconoscerlo.

Andando invece a ritroso, e dalla nostra casa fatta di mura, cominciamo a scendere nel
più piccolo, ci rendiamo conto che ogni stanza che abitiamo di quella casa è comunque
casa nostra, ogni spazio, angolo, centimetro…fintanto ad arrivare, per riduzione, al nostro
corpo fisico (anch’esso casa) e, da lì, andare ancora oltre, entrando dentro me stesso per
arrivare finalmente alla mia interiorità con le mie emozioni, le mie sensazioni, i miei valori,
le mie modalità di relazione…
Ecco perché l’ecologia ha a che fare con la nostra interiorità… perché tutto ci riguarda,
tutto siamo noi, siamo tutto il nostro “fuori” e tutto il nostro “dentro” contemporaneamente e lo possiamo comprendere allenandoci in questo piccolo esercizio di espansione e
contrazione.
Amare la Terra, quindi, significa amare noi stessi. Inevitabilmente.
Ed amare noi stessi, la nostra interiorità, non può essere disgiunto dall’amare la Terra, in
quanto tutt’uno con noi.
Tutto ciò che faccio dentro, altrettanto faccio e farò fuori…ogni emozione mal gestita, non
funzionale che attuo nella mia interiorità (aggressività, mancanza di empatia, bisogno di
sopraffazione e competizione estrema, bisogno di possesso, senso di superiorità…solo
per fare alcuni esempi), la rifletterò immancabilmente sugli altri esseri umani e, per inevitabile consecuzione, sugli altri esseri viventi (animali e vegetali) e non (minerali ecc
ecc…).
Per questo, a mio avviso (e non solo mio, ovviamente), la più grande rivoluzione ecologica
che possiamo perpetrare inizia, necessariamente, da un lavoro su noi stessi che
comprende un lavoro sui nostri bisogni profondi, sulle nostre dinamiche e modalità
relazionali, su ciò che ci anima, sui nostri valori.
Recuperare un punto di vista eco-centrico, sostituendo quello ego-centrico, ci permette di
riconnetterci alla nostra condizione di essere parte integrante di un tutto molto più vasto di
noi, nel quale abbiamo un grande ruolo, esattamente come tutte le altre creature viventi e
gli altri elementi.
Lo spostare il nostro punto di vista egoico ed ego-riferito presuppone il fare emergere
quella che io ritengo una delle più grandi risorse che l’essere umano può andare a
recuperare: l’umiltà.
Questa enorme risorsa, spesso è considerata nell’accezione negativa di cui la nostra
società (quella della forza, del potere, dell’apparenza, della grandezza) l’ha vestita.
Provando, però, ad uscire un attimo da questa visione e ampliando l’orizzonte che siamo
soliti osservare, ci accorgeremmo che l’umiltà, fondamentale per mettersi in discussione,
presuppone invece e immancabilmente una grande quantità di coraggio (dal latino
coratĭcum o anche cor habeo, aggettivo derivante dalla parola composta cor ’cuore’, e dal
verbo habere ’avere’: avere cuore).
Ci vuole cuore verso noi stessi e verso ciò che è fuori da noi per poter sperimentare quella
che io chiamo “la cultura del dubbio”.
Mettere in discussione, mettere un punto interrogativo su ciò che
facciamo/diciamo/pensiamo non significa perdere la nostra identità o il nostro valore,
significa piuttosto essere capaci di stare nell’ascolto, nell’accoglienza ed avere
l’opportunità di ampliare la nostra consapevolezza.
Avere cuore per una “nuova” visione che sposa il senso della nostra interdipendenza con il
tutto che ci circonda, permetterà di comprendere (prendere con me) che cominciare a
“fare bene” verso ciò che è fuori da noi, si rifletterà su un cambiamento costruttivo di
relazione con noi stessi, con la nostra interiorità.
Due strade, un unico meraviglioso fine: il ben-essere del noi/tutto.

Francesca Bazzichi, counselor e formatrice, da sempre legata alle tematiche ambientali, crede profondamente che nel recupero dell’armonia nel rapporto uomo/natura stiano il senso profondo e l’opportunità di questo nostro tempo.