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Benzina sul fuoco.


Il litorale di Acapulco semidistrutto dall'uragano OTIS.


Altro che decabornizazione!

Secondo un recente rapporto redatto da Oil Change International, nei primi sei mesi del 2023 l’Italia ha finanziato progetti fossili con oltre 1,2 miliardi di dollari di sussidi pubblici (oltre 15 miliardi dal 2015). Una quota che l’ha posta al secondo posto (Stati Uniti 1,5 miliardi di dollari), tra i Paesi che si erano impegnati a ridurli o eliminarli. Tramite i crediti all’esportazione e le agenzie nazionali di sviluppo, Roma ha finanziato progetti in Indonesia (141 milioni di dollari), Perù (500 milioni), Uzbekistan (145 milioni), ma anche in Brasile, Turchia e Vietnam.

L’Italia è infatti il primo finanziatore pubblico di combustibili fossili in Europa e l’ammontare garantito per la ricerca e l'estrazione di carbone, petrolio e gas, riguarda progetti realizzati anche in vari Paesi dell’Africa: Mozambico, Nigeria, Egitto.

Come già denunciato da ReCommon, le politiche delle istituzioni di finanza pubblica italiane, Sace in particolare, disattendono gli impegni internazionali sottoscritti dall’Italia e questo permette il finanziamento di ulteriori progetti fossili in maniera quasi incondizionata. Tutto questo, mentre in Amazzonia assistiamo ad una drammattica siccità, a causa della quale molti fiumi della regione, compreso il possente Rio Negro, sono scesi a livelli mai visti da quando sono iniziate le misurazioni, più di un secolo fa, con temperature elevate e ben oltre le medie che colpiscono gran parte del sud America.

In quest'area del mondo, a far precipitare la situazione, è l'incessante deforestazione che serve a fare spazio agli allevamenti di bovini. Si stima che in Amazzonia siano presenti almeno 100 milioni di mucche che una volta macellate fruttano miliardi di dollari alle aziende alimentari globali ma che contribuiscono alla intensificazione della crisi climatica.

Carlos Nobre, uno dei climatologi più influenti del Brasile, ha confermato che la deforestazione causata dagli allevamenti di bestiame sta contribuendo – insieme al riscaldamento dell'Atlantico – alla devastante stagione secca di quest'anno. Il pericolo è tale, che eventi climatici così estremi spingeranno, entro due decenni, l’Amazzonia ad un punto critico, dopo il quale la regione non sarà più in grado di mantenersi come foresta pluviale tropicale. Nella parte meridionale dell’Amazzonia sud-orientale, la foresta è già molto vicina a questo punto di non ritorno ed emette più carbonio di quanto ne assorbe.

Gli effetti dell'aterazione del clima hanno recentemente prodotto anche la devastazione di interi quartieri di Acapulco che è stato colpito dall'uragano OTIS, che in sole 16 ore, è passato da semplice tempesta tropicale ad uragano di categoria 5, con una velocità media del vento di quasi 200 km/ora: un'intensificazione così rapida ed estrema che non ha precedenti.

Fatti ed eventi che indicano la responsabilità dei governi e delle società multinazionali, nell'accelerazione della più grande crisi del nostro tempo che con le sue ricadute economiche e sociali, sta già provocando danni di enorme portata e che senza una mobilitazione di massa dei cittadini, avrà esiti infausti.

Fonti: The Guardian, Il Fatto Quotidiano



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