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CARNE AL CARBONIO



di Max Strata


Covid, Covid e ancora Covid, suona il monocorde tamburo dei media. Ma ci sono altri temi da affrontare. Uno di questi è l'impatto della produzione e del consumo di carne su scala planetaria. Roba da vegani? Ma proprio per niente. E' un dato di fatto che la questione carne (insieme a derivati del latte e alla pesca industriale) contribuisce a far peggiorare drasticamente la salute del pianeta. Le più grandi aziende del settore dell'allevamento intensivo emettono 1 miliardo di tonnellate di CO2 ogni anno, le prime cinque producono più anidride carbonica di Exxon, Shell e BP messe assieme e tra queste la multinazionale brasiliana Jbs, è responsabile da sola di più di un quarto delle emissioni. Nel mondo, quasi i 3/4 di tutti i terreni coltivabili vengono utilizzati per allevare animali e le colture per nutrirli: solo in Brasile sono 175 milioni di ettari, più dei campi coltivati in tutta l'UE. Questo significa distruggere habitat prioritari, foreste e biodiversità oltre che impedire che i campi producano cereali, legumi, verdura e frutta per uso umano. Negli ultimi anni la filiera della produzione di carne è più che triplicata inducendo un mercato internazionale che si avvicina alla fantastica cifra di 800 miliardi di dollari. Più si produce più aumentano i problemi sia per quanto riguarda le emissioni gassose di metano e di protossido d'azoto che hanno un effetto serra maggiore dell'anidride carbonica, sia per quanto riguarda le deiezioni degli animali che finendo nei corsi d'acqua sono responsabili dell'inquinamento organico dei fiumi, dei laghi e delle cosiddette zone morte oceaniche (in continua espansione). Non è superfluo evidenziare che oltre al grande appetito dei consumatori (Cina, USA, UE e Brasile in particolare), tutto ciò è possibile grazie al sostegno economico che le aziende produttrici ricevono dagli stati e dai privati: qualcosa come 50 miliardi di euro all'anno per la sola UE e 80 miliardi di euro all'anno da società di investimento, banche e fondi pensione, la maggior parte con sede in Nord America e in Europa. Una politica in linea con il fatto che nessun governo chiede alle aziende di documentare le loro reali emissioni (ci sono solo autocertificazioni), né prevede alcun limite quantitativo. Per contenere il cambiamento climatico, i Paesi più ricchi dovrebbero almeno dimezzare il consumo di carne ma è evidente che con un simile sistema di supporto economico invece che diminuire, la produzione potrà addirittura crescere di altri 40 milioni di tonnellate entro il 2029. Ogni anno vengono macellati a scopo alimentare 50 miliardi di polli ma i numeri sono ancora più impressionanti per i mammiferi considerato che il 60% del loro peso sul Pianeta è costituito da bovini e suini da allevamento. In termini di emissioni, considerato l'intero ciclo di vita di quanto viene prodotto, ogni kg di cibo consumato produce in media 59.6 kg se si tratta di manzo, 29.7 kg se si tratta di formaggio e solo 0,89 Kg se si tratta di lenticchie. Contro il riscaldamento globale e la crisi ecologica, tutti vegetariani o vegani dunque? Perché no, se pensiamo anche ai danni provocati alla salute dal continuo consumo di proteine animali e alla violenza esercitata sugli animali. Ciò sarebbe auspicabile anche in relazione al diffondersi delle epidemie considerato che in un mondo di allevamenti, il 60% delle malattie infettive umane e circa il 75% di quelle emergenti sono di origine animale. E come non ricordare che più del 50% degli antibiotici attualmente utilizzati è destinato all’allevamento e al settore veterinario, un fattore di rischio enorme per la selezione e la diffusione di batteri resistenti che in Europa già causano 1/3 delle infezioni totali e che in Italia rappresentano ben il 30% dei decessi da malattie infettive dovute proprio al proliferare di questi nuovi patogeni. Ma se non mangiare essere viventi è oggi una scelta numericamente minoritaria, in termini di impatto ecologico (e sociale) sarebbe già una gran cosa se chi abitualmente consuma carne e latticini ne riducesse il consumo del 50% o più. L'idea di diventare semi-vegetariani potrebbe essere interessante per una maggioranza di persone e certamente darebbe un contributo notevole a ridurre l'impatto delle emissioni generate dalla produzione- trasporto – commercializzazione – distruzione di foreste. Questo ciclo, tra rilascio di gas serra e mancato assorbimento, è considerato responsabile di oltre 1/4 delle emissioni totali anche se in realtà il suo impatto è maggiore se consideriamo che il settore agro-zootecnico è fortemente energivoro e che va avanti a suon di petrolio e derivati, sia per la realizzazione che per l'uso di macchine, infrastrutture, materiali plastici, oltre che per l'utilizzo di carburanti e di fertilizzanti chimici. Ma se il consumo di carne si riducesse che cosa ne sarebbe degli occupati nel settore? Questa domanda va posta ai governanti responsabili di aver permesso che la produzione raggiungesse le dimensioni attuali: sta a loro delineare un processo di riassorbimento nel mondo del lavoro. E' chiaro che la logica della decrescita non soddisfa se non si è capaci di guardare all'interesse generale e ai limiti ecologici del pianeta che ci ospita. Eppure, come si vede, ridurre è necessario. In conclusione, come umanità, ormai sappiamo esattamente quello che c'è da fare ma ovviamente possiamo scegliere di non muovere un dito.


Fonti: FAO -Food and Agriculture Organisation WWF – World Wide Fund Meat Atlas 2021 - AnimalEquality

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