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Essere vegetariani: si o no?



Molto, forse troppo ci sarebbe da dire su un argomento così importante e, purtroppo, così divisivo.Tuttavia, semplificando, si può affermare quanto segue.

Con alimentazione "vegetariana", si intendono, tutte le varianti della dieta che esclude le carni (con carni si intendono anche pesce, molluschi, crostacei, ecc.), ma che può includere uova e latticini, fino alla versione vegana che è totalmente vegetale. In occidente, nel linguaggio comune si utilizza il termine "vegetariana", per intendere la dieta latto-ovo-vegetale.

Vi sono numerose evidenze scientifiche che dimostrano come il nostro organismo sia strutturato per una alimentazione a base vegetale che, eventualmente, può prevedere un consumo occasionale di carni e di altri prodotti animali.

Con l'esclusione di un numero ridotto di umani che per condizioni specifiche ne consumano importanti quantità, si consideri dunque questo aspetto fondamentale: il cibarsi di prodotti animali non costituisce nella storia umana un continuum ed in particolare, con l'evoluzione dell'agricoltura, rappresenta un fatto marginale come dimostra, fra le altre, la dieta mediterranea.

Oggi, invece, nelle società e per le classi economicamente più ricche, il consumo di carne, pesce, uova e latticini, è aumentato in modo vertiginoso, causando non solo problemi alla salute ma un fortissimo impatto ecologico che si esprime a vari livelli.

Si consideri inoltre che esistono numerose tradizioni culturali in cui per motivi pratici, religiosi o etici, l'uso dei prodotti animali è sconsigliato o non ammesso, e che queste tradizioni, in occidente, sono sempre più condivise.

Abbiamo dunque una situazione di questo tipo.Da una parte, il largo consumo di prodotti animali è sostenuto da una disattenzione alle conseguenze sulla salute e da una sostanziale indifferenza a come questi prodotti vengono realizzati e immessi sul mercato. Dall'altra, prevale non solo una valutazione salutistica ma una sensibilità e una valutazione etica incentrata sulla necessità di non essere causa di sofferenza per altre specie viventi.

Sul piano strettamente ecologico, ovvero considerando il bilancio di energia e di materia, un vegetariano che si nutre di prodotti alimentari esotici, che compra prodotti confezionati e non biologici, ha in realtà un impatto ambientale addirittura superiore rispetto a chi consuma prodotti del proprio orto e ogni tanto consuma un pesce pescato all'amo, un pollo allevato in proprio o un equivalente selvatico.

Che cos'è dunque che fa la differenza ?

La differenza sta nella scala del consumo e nella valutazione etica.

Oggi siamo in presenza di un sistema globale che ha soppiantato la frugalità e l'occasionalità del consumo di carni e dei prodotti animali, con una pratica artificiale che non ha niente a che fare con le reali necessità nutritive della nostra specie ma che, utilizzando lo strumento della pubblicità , dello status symbol, di un apparente appagamento psicologico, punta dritto a portare enormi profitti nelle tasche dei colossi dell'agroindustria facendo leva su una supposta superiorità della cucina che utilizza quotidianamente carni di ogni tipo.

La differenza sta inoltre nel percorso personale che distingue un vegetariano, e a maggior ragione un vegano, da chi -anche saltuariamente- consuma carne.

Rispetto al passato, c'è una motivazione in più nel scegliere una dieta a base vegetale e questa motivazione è data dalla volontà di essere più leggeri rispetto al proprio peso sul pianeta poiché è noto che il consumo dei prodotti animali della filiera industriale, ha un ruolo enorme nella deforestazione, nell'inquinamento delle acque, nella distruzione della diversità biologica e nella produzione di gas ad effetto serra. Un ruolo diversificato ovviamente, che pone in testa alla classifica del negativo ecologico l'allevamento dei bovini e dei suini e che ha fatto aumentare la massa degli animali da allevamento al 68% della massa complessiva dei mammiferi, con l'intera umanità al 29% e tutti i selvatici al solo 3%.



La guerra che l'agroindustria ha mosso contro il suolo fertile del pianeta si esprime con numeri da capogiro: qualcosa come 70 miliardi di animali allevati ogni anno, pesci esclusi, che vengono nutriti con una quantità tale di cereali e legumi che sarebbe in grado di risolvere (in abbondanza) la denutrizione che colpisce oltre ottocento milioni di persone.

Un'industria che non ha nulla a che fare con le reali esigenze di produzione di cibo sano e nutriente cui hanno diritto le comunità locali ma che va avanti a forza di incentivi, di sfruttamento del lavoro e che dipende interamente dall'uso del petrolio.

In questo tipo di agricoltura, per ottenere una tonnellata di fertilizzante ne occorrono tre di combustibili fossili (escludendo estrazione, raffinazione e trasporto) e chiunque può verificare come ogni volta che il prezzo del petrolio sale, ne consegue una crisi alimentare che non riguarda quasi mai carenze produttive ma per l'appunto l’aumento del costo di fertilizzanti, pesticidi, ecc.. Se poi guardiamo alla manomissione del ciclo naturale del fosforo che è stata provocata dall'utilizzo massivo di concimi di sintesi ad alta quantità di fosfati, scopriamo che il progressivo accumulo dei flussi di fosforo verso il terreno ne ha compromesso la componente organica, mentre ampie porzioni di mare stanno dimostrando di non essere in grado di assorbire l’enorme incremento di nutrienti che arriva dai fiumi.

Sappiamo inoltre che il 25% delle terre emerse è altamente degradato e che il 44% segue questa direzione: un fatto che ogni anno determina la perdita di circa 8,5 milioni di ettari di terreno tra erosione e pratiche agricole scorrette in cui l'allevamento industriale ha la responsabilità principale. La trasformazione dell'agricoltura da ciclo chiuso locale in ciclo aperto governato dai combustibili fossili, ci ha condotto sulla soglia di una crisi senza sbocco.



Il punto è, come ha scritto Martin Caparros, giornalista e scrittore argentino, che "consumare animali è in realtà un lusso, una forma di concentrazione della ricchezza perché la carne si accaparra risorse che potrebbero essere suddivise... la carne è dunque uno stendardo e un proclama: è possibile che io usi così il pianeta solo se miliardi di persone si rassegnano a usarlo molto meno... l’esclusione è una condizione necessaria, e mai sufficiente".

E' dunque l'industrializzazione e la capitalizzazione della produzione che sul piano pratico ha determinato questa criticità globale e non certo il consumo limitato che per secoli ha in qualche modo consentito un rapporto sostenibile tra produzione di animali e attività agricola tradizionale.

Oggi, la scelta vegetariana, se intelligente, gustosa, bene equilibrata, da prodotti locali e naturali, assume su di sé una connotazione ecologica che si affianca a quella etica e per la quale, oltre al riconoscere un valore vitale intrinseco agli animali non umani, dichiara la propria volontà di non collaborare e anzi di opporsi al sistema economico alimentare che sta recando enormi danni al pianeta e alle nuove generazioni.

Si tratta di una scelta importante che ha una sua connotazione spirituale e alla quale (a meno che non si cresca in una famiglia con queste abitudini) normalmente si giunge per gradi ma comunque in tempi relativamente brevi.

Non sappiamo se il futuro sarà vegetariano o vegano, certo è che se l'industria dell'allevamento e i consumi di prodotti animali dovessero restare quelli attuali o addirittura aumentare, le criticità che ne derivano -già estremamente serie- potrebbero presto diventare irreparabili. Dunque, quello che occorre è una diminuzione nel consumo di carni in generale e un rapido abbandono delle pratiche intensive oltre a una rielaborazione concettuale del cibo in quanto alimento, di certo il più nutriente e gradevole possibile, ma anche sobrio e liberato da una "mitologia" che ha finito per stravolgerne completamente la funzione e il significato.

Ben oltre l'aspetto salutistico, la scelta vegetariana si pone pertanto come una pratica ed una prospettiva pienamente realizzabile in quanto contiene un approccio amorevole nei confronti di ciò che è vivente, una visione più armonica del pianeta e della natura ed è per questi motivi che un vegetariano coerente tende ad evitare l'acquisto di vestiario di origine animale, usa cosmetici, prodotti per l'igiene personale e per la pulizia della casa non testati su animali, e in generale non compra altre merci con parti animali.

E' in questo senso che si può parlare pienamente di vegetarianesimo come scelta di vita non violenta, consapevole e non dissipativa, come assunzione di responsabilità, come atto individuale che ha una ricaduta sociale e politica: una visione che intende esercitare e promuovere un'idea diversa dello stare al mondo.


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